Anche Salvini rilancia le emissioni dopo il no secco di Draghi.

Quello acceso dalla mozione parlamentare della scorsa settimana sui mini-Bot non è un fuoco di paglia. A rianimare la fiamma ci ha pensato ieri Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, voce economica chiave della Lega e canale principe del Carroccio con molte istituzioni internazionali, a partire dalla Bce. Per questo le sue parole sul tema pesano. E quando afferma che i mini-Bot, cioè le emissioni di piccolo taglio (da 5 a 100 euro), sono «una delle possibilità, una delle soluzioni per accelerare i pagamenti alle imprese», la dialettica è direttamente con Francoforte. Il presidente della Bce Draghi giovedì aveva sostenuto che i mini-Bot «se sono valuta sono illegali, se sono debito fanno salire lo stock». Nelle stesse ore Moody’s, nella sua nota preoccupata sulle prospettive della finanza pubblica italiana, aveva sostenuto che i mini-Bot sono «il primo passo per introdurre una moneta alternativa e preparare per l’Italia l’uscita dall’area euro». Ma Giorgetti derubrica gli allarmi internazionali a «contestazioni» che accompagnano «tutte le soluzioni nuove».

La conferma della centralità del tema nell’agenda leghista arriva in serata direttamente da Salvini. Al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che aveva detto «no» ai mini-Bot «in linea con Draghi, perché significa debito pubblico, e noi non possiamo più realizzare debito pubblico che non sia per investimenti», il leader del Carroccio ha replicato «a me piace quello che piace agli italiani».

Salvini minimizza sullo snodo più delicato dei mini-Bot, cioè il loro valore di moneta parallela vietata dal Trattato Ue e dal regolamento sull’euro: «Le monete alternative le usiamo al Monopoli», dice, sostenendo che si tratta di «decine di miliardi già debito dello Stato».

Ma il problema è proprio qui. Il debito commerciale entra nei calcoli del debito pubblico quando viene pagato, e per questa ragione soprattutto negli anni scorsi i versamenti delle fatture alle imprese fornitrici hanno rallentato vistosamente (ora i tempi di pagamento medi sono in linea con le scadenze di legge a 30/60 giorni secondo i monitoraggi del Mef). Uno sblocco immediato di decine di miliardi rischierebbe quindi di far saltare anche le ultime chance di evitare la procedura d’infrazione Ue. Per questo la scorsa settimana il ministro dell’Economia Tria aveva smentito in fretta l’ipotesi. E per questo il tema tornerà al centro del vertice di governo previsto lunedì. Il tutto senza contare i riflessi sulle imprese fornitrici, che ovviamente puntano a vedersi pagare in moneta «vera» i beni e servizi venduti a suo tempo alla Pa.

di Gianni Trovati