In questi concitati giorni, in cui tutto il mondo sta affrontando una crisi epidemiologica senza precedenti che sta mettendo in ginocchio i sistemi sanitari ed economici internazionali, in Europa è diventato usuale citare il “Piano Marshall”, messo in atto al termine del secondo conflitto mondiale, come programma di rilancio economico da ripetere al fine di tentare di risolvere la critica situazione finanziaria attuale.

E’ opportuno premettere che il “Piano Marshall”, dal nome del suo ideatore l’ex generale George Marshall, Segretario di Stato statunitense durante la prima amministrazione del Presidente Harry S. Truman, era un atto che metteva in campo sostanziosi aiuti economici per i Paesi europei dell’Asse Atlantico allo scopo di sostenerne la ripresa, dopo le devastazioni provocate dalla Seconda Guerra Mondiale. Il Piano, anche detto European Recovery Program, fu innanzitutto un aiuto alimentare, in quanto gli Stati Uniti spedirono 16,5 milioni di tonnellate di cibo, principalmente grano, ai Paesi alleati tra cui anche l’Italia. Ad essi si aggiunsero, inoltre, erogazioni finanziarie pari a circa 13 miliardi di dollari dell’epoca che, ad oggi, ammonterebbero ad oltre 120 miliardi di euro. Fu, quindi, un programma di assistenza post-bellica volto a creare un sistema capitalista, a rimuovere le barriere commerciali, a modernizzare l’industria e a migliorare la prosperità del continente europeo, attraverso una enorme iniezione di liquidità e sovvenzioni di cui l’85% fu a fondo perduto e il restante 15% rappresentato da prestiti agevolati a lungo termine. L’Italia beneficiò di aiuti pari a 1,2 miliardi di dollari che, oggi, ammonterebbero ad oltre 11 miliardi di euro.

Le diverse misure attualmente allo studio della Commissione Europea, volte a finanziare i Paesi dell’Unione al fine di attutire lo shock economico provocato dalla pandemia influenzale da Coronavirus, e che sono state etichettate come “nuovo Piano Marshall”, hanno, in realtà, un presupposto assai diverso dallo strumento post-bellico. Infatti, sia il ricorso all’emissione di “Eurobond”, sia il ricorso all’emissione dei più attuali “Corona Bond”, nonché il ricorso alle Obbligazioni BEI (Banca Europea degli Investimenti), sono strumenti finanziari che porterebbero un immediato afflusso di liquidità nelle casse di ciascun Governo nazionale ma costituirebbero, al contempo, per tutti gli Stati membri, la sottoscrizione di nuovo debito da onorare nel lungo periodo a tassi di interesse variabile. Discorso analogo varrebbe per il ricorso alle linee di credito del MES (cd Fondo Salva Stati) condizionato ad un rigoroso programma di rientro, per l’allentamento del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) e per la creazione del Fondo SUREdestinato a finanziare la cassa integrazione nei Paesi UE. Alla luce di quanto sopra, è palese che l’attuazione di un “nuovo Piano Marshall”, in grado di erogare aiuti a fondo perduto agli Stati attualmente in difficoltà è impensabile in questo determinato periodo storico, nel quale non esiste nazione al mondo in grado di attuare un’iniziativa unilaterale come quella americana del 1948. Quindi, ciò che può essere fatto ora, è attuare una politica economica di indebitamento a lungo termine capace di iniettare liquidità nel breve periodo, ma senza alcun rimando al Piano Marshall del secondo dopoguerra.

Una situazione analoga verrà a crearsi anche sul mercato interno italiano, in quanto la maggior parte degli aiuti finanziari che l’Esecutivo sta stanziando a favore delle imprese consistono nella concessione di liquidità a breve, controbilanciata da un indebitamento onorabile nel medio/lungo periodo. Ne sono esempi l’incremento del“Fondo Centrale di Garanzia”, i “Prestiti a Garanzia Statale” con copertura del 90% (o del 100%), il “Fondo di Garanzia per le PMI”, la “Moratoria sui Crediti”, ecc….. Tutte azioni, queste, che hanno il sapore di un “prestito ponte” e che non lasceranno risorse a fondo perduto sui conti correnti delle aziende, già in grave affanno per via dei ritardi nell’erogazione di indennità e cassa integrazione da parte dell’Inps.

Sta di fatto, quindi, che l’eredità lasciata dalla crisi da Covid-19 sarà un aumento consistente del debito pubblico continentale e, di riflesso, di quello privato nazionale.

A cura di Fabio Caravaggio